The Shak & Speares - “Gagster”

Sembra quasi di vederli e sentirli, questi The Shak & Speares, coi loro ritmi furbescamente rapidi prendersi gioco della forma-canzone diluendone o comprimendone i tempi. Sembra di vederli dalle parti di Pompei, a casa loro, prendere pezzi di punk per adattarlo a quel che hanno, a quel che sanno e alla tradizione.

“... A Woodchuck Chuck” sbuca dal nulla o quasi: il motivetto ingenuo che la introduce non prepara al peggio. Pochi secondi, invece, ed è un punk dolcemente sconnesso, quasi rock‘n’roll dalle tinte vagamente folk ma roba buona, garantiamo. Vengono alla mente, come è ovvio, gli Against Me! ma non ce ne vorranno Laura Jane Grace (e Tom Gabel) e soci se al loro surrogato mezzo pop furbetto gli preferiamo il chitarrismo apparentemente sbilenco di casa nostra. E poco male se la carenza di simmetrie (solo apparente, lo ripetiamo) sviluppa un suono che riporta alla mente le tarantelle dei tempi andati e non certamente un sound dal respiro europeo, celtico o balcanico che sia.

C’è un momento, in “How Much Is Love”, dove pare di rivedere i Modest Mouse di “The Lonesome Crowded West”. Ma è solo un’impressione poiché, se di somiglianza si tratta, è semplicemente perché gli The Shak & Speares ci arrivano facendo un percorso diverso: niente pop sporcato dal blues alterato dai primi vagiti emo ma un semplice euro-folk filtrato dal punk. L’effetto è simile ma le cause non sono neanche lontane parenti.

I quattro signori Marlowe (Frank, Max, Al e Louis) non si prendono troppo sul serio e non tradiscono dunque quanto di buono avevano fatto sentire coi tre singoli che hanno preceduto l’album (tutti con video al seguito e tutti su cd insieme ad altri cinque inediti). C’è una sottile linea scura che sembra unire le tracce di “Gagster”. Viene a galla al secondo o terzo ascolto e unisce, volenti o meno, un po’ tutte le tracce dell’album. E’ una sottile, sottilissima vena malinconica che è forse figlia proprio di quell’incedere finto-sbilenco che attira a sé il sublime e lo squallido del folk. “Zoolander”, “Tangosh” e “Fright Night”, ad esempio.

La chiave per comprendere “Gagster”, dunque, è forse proprio questa: una libertà espressiva totale con pochi e risoluti mezzi. Se proprio dovessimo trovargli un difetto, infatti, questo è proprio nella mancanza di coraggio nello spingersi oltre tenendo in considerazione l’anarchia costruttiva del quartetto. 
Ma è un debutto e, i Violent Femmes insegnano, va benissimo così.

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